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ANORESSIA MENTALE E IL RIFIUTO DELL'INCONSCIO

L'esperienza alimentare, il cibo, non è solo un atto per nutrirsi ma anche un modo di comunicare che ordina, organizza e guida il soggetto nella sua dimensione socio-culturale.
Che rapporto c'è tra il cibo e l'inconscio?
E' un rapporto molto complesso, che dobbiamo collocare su diversi piani dell'esperienza. Come dice Freud nei Tre saggi sulla teoria sessuale, l'oggetto orale per eccellenza, il cibo, funziona su diversi piani. Da un lato il piano più evidente della dimensione nutritiva, che è quello della necessità: Ma per il soggetto umano il cibo non si riduce mai a questo, giacché appartiene, al tempo stesso, a una dimensione di soddisfazione, di piacere. Il cibo è il primo dono che il soggetto riceve dell'Altro, e per questo ha un valore simbolico entrando in gioco per questo la dimensione del desiderio. Freud lo spiega molto chiaramente dicendo che il bambino, quando si dirige verso il seno il materno, sperimenta una soddisfazione che va al di là dei suoi bisogni e delle sue esigenze nutritive. Qui si vede come l'introduzione dell'oggetto orale si appoggia sul bisogno ma va anche oltre. Si tratta di un'esperienza molto complessa, che coinvolge una dimensione di identificazione del soggetto con il cibo. Questo è molto chiaro, per esempio, nella relazione con la cucina e le tradizioni alimentari di famiglia.
Oggi siamo in un'altra epoca. In che modo questo cambiamento influenza la soggettività ?
Oggi si tende ad avere un rapporto non rituale con il cibo. Giorno dopo giorno assistiamo nella vita quotidiana ad una caduta del rapporto con il cibo come rituale ed un legame con esso sempre più solitario. In un soggetto con una struttura nevrotica questo si può sostenere, perché il nevrotico non è mai veramente solo, in qualche modo è sempre con l'Altro, anche se non gli sta di fronte. C'è però tutta una dimensione della clinica contemporanea in cui il soggetto sperimenta un rifiuto dell'Altro e un rapporto esclusivo con l'oggetto di godimento. Lo abbiamo imparato soprattutto nel campo delle tossicodipendenze, ma anche in quello dei cosiddetti disturbi alimentari, dove questi problemi si manifestano in modo evidente. Il soggetto perde la propria relazione con l'oggetto cibo, ha l'illusione di controllarlo quando in realtà non è così, e finisce per esserne schiavo. La prima esperienza con il nutrimento, il primo dono che riceviamo dall'Altro, è il cibo della madre.
Cosa si può dire di questa prima relazione madre-bambino?
C'è sempre qualche difficoltà per il bambino o per la bambina nell'articolare una separazione dall'Altro materno. Questa esperienza non è solo uno svezzamento della madre, è una separazione di una parte di sé. Nelle sue prime esperienze di vita il bambino non percepisce una differenza tra il seno della madre e se stesso; si deve articolare un'operazione di separazione in cui è come se il soggetto perdesse un pezzo di se stesso. Il problema è che questa operazione non sempre funziona. Nella clinica dell'anoressia lo vediamo. Non a tutti i casi, ma nella maggior parte, il soggetto non vuole perdere questa parte che trova nel corpo dell'Altro materno, e invece di andare in direzione di questa separazione resta come catturato dall'oggetto primario.



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