ISOLAMENTO E SOLITUDINE
Quante volte la nostra vita è stata attraversata dalla fantasia di separarci da tutto ciò che stabilisce vincoli ai quali non possiamo sottrarci? Dall’idea improvvisa di lasciare tutto?
La vita con gli altri può generare anche il suo rifiuto. La necessità di allontanarsi dall’Altro può essere altrettanto intensa della domanda della sua presenza.
L’essere umano esige la solitudine come esige il legame. In realtà può stare in un legame solo se sa sopportare la condizione della sua solitudine.
La solitudine non è isolamento. Isolamento è il rinchiudersi accidioso della vita in se stessa; è un modo per rifugiarsi dall’instabilità che condiziona ogni legame. Nell’isolamento non c’è pace ma risentimento; fuga rabbiosa o rassegnata dal mondo.
Nella psicopatologia contemporanea l’isolato è colui che nel chiuso della propria stanza può restare perennemente connesso alla rete come accade ai giovanissimi Hikikomori giapponesi. Gesto depressivo di autoreclusione che nella sua ambivalenza svela tutto il carattere nichilistico dell’isolamento.
La solitudine è l’unico fondamento positivo del legame. Winnicott teorizzava che sapere stare soli è il criterio minimo, ma essenziale, della salute mentale. Nello stare soli affermiamo il nostro diritto alla sconnessione. La solitudine non è fuga rabbiosa o rassegnata dal mondo, ma il tempo giusto della pausa, del silenzio, dell’interruzione delle attività, della contemplazione.
Mentre l’isolato sceglie di chiudere l’apertura del mondo, niente come la solitudine la può mantenere aperta.
L’unificazione è il contrario della solitudine. La comunione fusionale costituisce il fondamento fascista della psicologia delle masse e della sua esaltazione distruttiva.
L’isolato vive in un’isola che esclude ponti, mentre la solitudine è uno stato di convalescenza che può essere vissuto come un ebbrezza. E’ un ricaricamento libidico della vita, dunque il contrario di una fuga dalla vita. L’Altro non è mai assente- la sua assenza è una forma della sua presenza- e nella solitudine abbiamo la possibilità di ascoltare meglio la sua voce. Per questa ragione i mistici insegnano che la parola di Dio si può ascoltare solo nel silenzio, nell’eremo della propria anima.
Nello sprofondamento solitario in noi stessi non troviamo il nostro io, ma la voce dell’Altro. Niente infatti è più avverso all’isolamento come l’esperienza estatica della solitudine del mistico.
Solo chi ha imparato a fare i conti con se stesso è pronto per avere veri legami. Altrimenti il rifiuto dell’Altro è semplice nichilismo.
Avere la possibilità di costruire ponti mette in contatto le differenze, che consentono transiti, scambi perché solo nella relazione con l’Altro è possibile che la vita si potenzi ed espanda.