E' NATO PRIMO L'UOVO O LA GALLINA ?
Il dott. Messieri riceve nel suo studio di clinica psicoanalitica specializzato nell'affrontare i problemi di dipendenza.
I ragazzi vanno in comunità perchè usano droghe per curare il disagio psichico o le droghe hanno causato il loro disagio psichico che ha condotto al ricovero?
La prima ipotesi sembra la più plausibile. Nella raccolta dei racconti delle vite di questi soggetti preesiste all'uso di droga una personalità patologica e la maggior parte dei pazienti riferisce uno stato angoscioso o depressivo che ha placato grazie all'effetto chimico dell'uso della sostanza.
Molti non capiscono cosa gli sia successo, sia nel corso della vita che durante il periodo adolescenziale, in quanto si sono percepiti strani, in difficoltà, timidi nelle relazioni o incapaci di gestire le frustrazioni delle relazioni, ma, nel provare le sostanze, magari per imitazione o per curiosità, ne hanno scoperto l'effetto 'benefico'.
Da un approccio a volte superficiale e occasionale, legato ad amicizie o a situazioni come la frequentazione delle discoteche o dei rave party, si giunge ad un utilizzo quotidiano fino a una vera e propria dipendenza, l'uso giornaliero 'congela' il pensiero e copre ogni tipo di emozione.
Si arriva quindi ad un ritiro sociale importante e a uno stato di abulia (mancanza di volontà o indolenza), anedonia (incapacità a provare piacere), astenia (deficit di forza e stato di stanchezza costante) che li conduce a perdere il lavoro, le relazioni affettive e sessuali; si ritrovano così chiusi in casa e in solitudine, molto lontani dal divertimento delle discoteche e dei bar alla moda.
Gli altri, quelli 'sani' invece riescono a dosare il consumo di stupefacenti, ma soprattutto continuano a condurre una vita normale, senza arrivare al ricovero nelle comunità o alla ricerca di una terapia ambulatoriale.
Un sintomo molto diffuso nella nostra epoca è la depressione e non è un caso che una delle droghe più consumate in assoluto risulta essere la cocaina. La melanconia viene così 'affrontata' con l'uso della cocaina, con la polvere bianca si pensa di poter vincere la tristezza, si riesce ad uscire di casa e a lavorare, ad avere rapporti sessuali generando così l'illusione che più se ne consuma meglio si sta, e che probabilmente si può risolvere, o quanto meno rimandare, ogni problema, ma, appunto, è una pura illusione. La famosa leggenda riguardante persone che si ammalano o impazziscono dopo che gli hanno messo la pastiglia di ecstasy nel bicchiere è, appunto, una leggenda: non è sufficiente una singola assunzione di sostanza per compromettere per sempre l'equilibrio psichico di una persona.
Forse l'incontro con la droga può portare alla luce un disagio psichico che fino a quel momento era rimasto nascosto o si era manifestato solo parzialmente.
E' impensabile considerare i soggetti la cui vita viene sconvolta dalla droga, dall'alcool, per cui perdono il lavoro e le relazioni affettive più importanti, come recuperabili solo tramite un periodo di astinenza e di rieducazione. Sarà invece fondamentale un approccio psicoterapeutico ed eventualmente se la situazione lo richiede anche psicofarmacologico, oltre alla già citata astinenza e ai progetti rieducativi. Le sostanze sono cambiate, la società è cambiata, i tossicodipendenti sono cambiati, pertanto anche l'impostazione psicoterapeutica necessita di un cambio di passo.
La cocaina e le droghe prestazionali consentono l'inserimento nel turbine di un'esistenza condotta sempre sulla corsia di sorpasso, mentre l'eroina oggi disaggrega, confronta il soggetto con la propria solitudine, con una solitudine disangosciata dall'effetto sedativo ed anestetizzata del dolore in una scelta di emarginazione impregnata della volontà di distruggersi.
Un problema che s'incontra spesso nel lavorare con queste problematiche è quello di una tendenza del paziente a sottrarsi alla cura, spesso in modo inaspettato, dopo un breve periodo di lavoro apparentemente buono.
Il soggetto comincia ad interrogarsi sulla propria situazione e giunge a spostare il proprio discorso scongelandolo dalla fissazione intorno alla sostanza. E, proprio quando inizia a parlare, a parlare davvero, non dà più sue notizie salvo ripresentarsi dopo qualche tempo per, magari, interrompere di nuovo il percorso elaborativo dell'analisi. Un'ipotesi che proponiamo riguardo a queste interruzioni concerne la tendenza di questi pazienti a non voler incontrare la mancanza dell'Altro.
Usano sostanze per regolare il rapporto con il godimento senza passare per la dimensione di incertezza e di sorpresa che il desiderio dell'Altro implica sempre.
Nel corso del trattamento l'apertura di questioni sulla propria soggettività nella loro caratteristica di enigma può risultare insopportabile conducendo a degli agiti distruttivi o autodistruttivi, come per esempio, più di frequente all'interruzione delle sedute.
Fondamentale risulta analizzare il tipo di evento simbolico che il paziente non è stato in grado di assumere soggettivamente: può trattarsi della separazione dalla fidanzata, del decesso del padre, della difficoltà ad assumersi responsabilità di tipo paterno, di una situazione economica complessa.
Altrettanto importante diventa il valutare quali fattori determinano la motivazione soggettiva a smettere con le droghe: a volte una spinta in questo senso viene dalla partner, altre volte viene dall'accorgersi di una inadeguatezza nel rapporto con i figli o dal percepire un rischio mortale per sè e per gli altri in occasione di un incidente automobilistico, talora dall'avvertire conseguenze spiacevoli nel proprio corpo come ansia ed attacchi di panico.